Copyright,  Giurisprudenza

Sulla responsabilità penale del direttore del giornale on-line: il revirement della Cassazione

Le nuove realtà delle testate giornalistiche online hanno da tempo posto i giuristi dinanzi ad alcune questioni problematiche che hanno generato contrasti, con riguardo al trattamento penalistico da riservare ai redattori di testi diffamatori, nonché a chi ricopra il ruolo di gestore della pagina web ove sia avvenuta la pubblicazione costituente reato.

L’art. 57 del codice penale vigente, nella prospettiva di una più efficiente repressione dei reati commessi a mezzo stampa, prevede – oltre alla responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dai casi di concorso nel reato- una fattispecie di responsabilità colposa per il direttore o il vicedirettore responsabile.

Tale responsabilità colposa viene in rilievo nei casi in cui fra l’articolista e il direttore non possa configurarsi un concorso nel reato, ma il direttore abbia omesso di esercitare il controllo necessario per impedirne la commissione.

In altre parole, il legislatore ha scelto di porre in capo al direttore o vicedirettore responsabile una posizione di garanzia, avente ad oggetto gli stessi interessi tutelati dalle norme che reprimono i reati commessi col mezzo della stampa.

La condotta sanzionata consiste, dunque, nell’omissione del controllo necessario ad impedire la verificazione di reati a mezzo stampa. Il precetto è eluso, peraltro, non solo quando il controllo sia stato del tutto omesso, ma anche quando si riveli inadeguato, insufficiente e inidoneo.

Il reato previsto dall’art. 57 c.p. è stato qualificato quale ipotesi di agevolazione colposa – del direttore- nel reato doloso – dell’articolista.

La ratio della norma è, con ogni evidenza, quella di rafforzare la risposta sanzionatoria per tali fattispecie, in considerazione della potenzialità offensiva di uno strumento, come la stampa, connotato da permanenza e larga diffusione fra il pubblico.

Ciò posto, è pressoché agevole ritenere che l’articolista possa incorrere, nel caso in cui abbia leso la reputazione di un terzo, nel delitto di diffamazione, in quanto l’art. 595 comma terzo cod. pen. punisce ogni “offesa recata col mezzo della stampa o qualsiasi altro mezzo di pubblicità…”; rientrando, quindi, nella previsione della norma anche altre forme di offesa come quelle realizzate attraverso Internet o altri mezzi di comunicazione.

Più articolata si presenta la soluzione con riguardo alla possibilità di ascrivere una responsabilità penale in capo al direttore del giornale.

Con riguardo alla possibile estensione dell’art. 57 c.p. ai reati commessi tramite i nuovi veicoli d’informazione, per costante giurisprudenza gli illeciti realizzati per il tramite di periodici online non erano riconducibili alla normativa sulla stampa, di inequivoco tenore letterale e insuscettibile di interpretazione analogica.

Alla stregua di tale impostazione, la non assimilabilità del sito web di natura editoriale allo “stampato” poggiava in primis sulla definizione di stampa di cui all’art. 1 della l. 47/1948, che richiede, oltre alla destinazione alla pubblicazione, anche che si tratti di “riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico–chimici”.

Si richiamava, altresì, l’art. 14 del d.lgs. 70/2003 sul commercio elettronico -attuativo di una direttiva CE- che esclude una responsabilità per omesso controllo dei providers per i reati commessi in rete: ciò portava ad escludere anche la responsabilità del direttore del giornale diffuso sul web, figura a questi assimilabile.

L’argomento “principe” addotto al fine di suffragare la tesi in parola faceva però leva sull’inderogabilità del divieto di analogia in malam partem in materia penale, corollario del nullum crimen sine lege che fa da perno, come noto, all’intero sistema delle incriminazioni, di talchè una responsabilizzazione per omesso controllo in tale settore esigeva una precisa ed espressa scelta del legislatore.

Ripudiando tali argomentazioni, la quinta sezione della Corte di Cassazione ha recentemente operato una diversa ermeneusi della disciplina in questione, giungendo a risultati specularmente opposti e di dubbia compatibilità con i principi cardine del diritto penale costituzionale.

Con la sentenza n. 1275 del 2018 gli ermellini hanno infatti richiamato un orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite della Suprema corte con la sentenza n. 31022 del 2015, che ad altri fini avevano aderito ad un’interpretazione estensiva del concetto di stampa, ricomprendendovi anche la testa giornalistica telematica.

Ad avviso della Corte, tra il periodico cartaceo e quello telematico vi sarebbero analogie rilevanti sotto il profilo dell’organizzazione, tanto che sovente la pagina web è collegata ad una testata giornalistica “classica”.

L’assenza di un riferimento nella legge sulla stampa a tecniche di pubblicazione differenti rispetto a quella cartacea è da attribuire al contesto risalente in cui la stessa si colloca, tanto che la  più recente  l. n. 62 del 2001 sull’editoria, nel dare la definizione di prodotto editoriale ricomprende il prodotto realizzato su supporto informatico, destinato alla pubblicazione con qualsiasi mezzo, anche elettronico.

I giudici di legittimità ritengono quindi che un’esigenza di parità di trattamento deporrebbe a favore di una nozione evolutiva del concetto di stampa, pena un ingiustificato trattamento di favore per le testate online.

Il suddetto approccio estensivo è risultato inviso a buona parte della dottrina, che ha evidenziato non solo le lampanti frizioni col divieto di analogia, ma anche la scarsa consistenza delle argomentazioni prospettate dalla Corte, in particolare con riferimento alla richiamata definizione di “prodotto editoriale”, che rileva invero ai soli fini dell’applicabilità della richiamata legge sull’editoria e in cui alcuna forma di responsabilità siffatta viene prevista.

Infine, un ulteriore aspetto critico riguarda la verosimile violazione del principio di colpevolezza: il direttore si vedrebbe attribuire una responsabilità oggettiva da posizione, stante l’inesigibilità di un controllo capillare sui contenuti divulgati su giornale telematico, che la natura stessa del sito web renderebbe concretamente irrealizzabile.

A tal proposito, si è mostrata concorde la CEDU nella pronuncia Węgrzynowski and Solczewski v. Polonia, in cui ha incidentalmente affermato: “Internet is an information and communication tool particularly distinct from the printed media, especially as regards the capacity to store and transmit information. The electronic network, serving billions of users worldwide, is not and potentially will never be subject to the same regulations and control”.

Ancora una volta, si rende dunque necessaria una scelta legislativa che ponga al riparo dalle inevitabili criticità di supplenze giurisprudenziali che, nell’esigenza di colmare vuoti normativi, operano scelte compromissorie scarsamente appaganti sul piano della coerenza coi principi informatori del sistema penale.

Articolo della nostra Pink Counsel Maria Pizzolante

Per approfondimenti, curiosità e consigli scrivici a info.pinkcounsel@gmail.com

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